LA DIVISIONE SAN MARCO
L'EPOPEA DEI FANTI DI
MARINA DELLA DIVISIONE "SAN MARCO". "QUANDO EL LEON ALSA
LA COA" Questo fu il motto della grande Unità della Repubblica
Sociale Italiana che si batte contro tutti i nemici fino al 30 aprile del
1945 - Un medagliere di grande rispetto testimonia il suo impegno.
Emilio Cavaterra
Da una ribellione sentimentale
marinara, dal vincolo a una fedeltà mai mancata nei secoli, e dalla
rivolta contro la viltà giunta a schiantare ogni dignità
della Patria, dal dolore per la rovina di tutti e tutto, nacque la 'San
Marco'. L'anima della Divisione, inizialmente sorta da un gruppo di marinai
delle Isole dell'Egeo, da un nucleo di Camicie Nere dei Balcani e da un
Gruppo di Granatieri, era marinara e i marinai che combattevano a terra
sono tutti 'San Marco'.. ".
Con queste alate parole il
generale Amilcare Farina, detto "papà" dai fanti di Marina
repubblicani, ha cominciato a raccontare le origini della seconda Divisione
di quel complesso delle Forze Armate della Repubblica Sociale italiana
che fu il fiore all'occhiello del ricostituito Esercito della Repubblica
mussoliniana: le così dette quattro "Grandi Unità".
Sui porti della Penisola
E' una storia tutta da disvelare,
ma soprattutto da divulgare, quella della "San Marco", e ciò
non soltanto per le sue peculiarità militari (è appena il
caso di rilevare, purtroppo, che nella grande opinione pubblica nazionale
son più noti i "marines" americani, contro cui peraltro
si combatté, che non i nostri, e ciò grazie a un martellamento
pubblicitario senza confronti), ma anche per il grande valore e l'autentico
impegno dei nostri fanti di marina che nulla hanno da invidiare ai loro
omologhi statunitensi. Un impegno, quello degli uomini della "San
Marco", che si evidenziò negli aspri combattimenti impegnati
sui fronti della Penisola contro le armate "alleate" che risalivano
dal Sud, all'indomani del loro rientro dal periodo di addestramento in
Germania, fino praticamente al 30 aprile del 1945, quando il loro comandante,
considerata l'inutilità di ogni ulteriore resistenza, accettò
la resa con l'onore delle armi. No, si conoscono poco o punto le gesta
dei fanti di Marina italiani, specialmente di quelli della Repubblica Sociale,
e dunque non si ha cognizione di quel che di eroico è stato da essi
compiuto sui vari fronti nei quali furono impiegati, dalla riviera ligure
alla Garfagnana e fino alla "Linea Gotica". Non staremo qui a
riportare, nella sua interezza, la storia di questa Divisione che orgogliosamente
ostentava nelle mostrine rosse dei suoi militari il leone veneziano che
nella iconografia tradizionale è solitamente rappresentato con una
zampa poggiata sulla pagina del Vangelo aperta dove campeggia la scritta
in latino ben nota: "Pax tibi, Marce, Evangelista meus". E anche
questa ha una tradizione di tutto rispetto: sta a ricordare, infatti, quei
nostri marinai che nella prima guerra mondiale, all'indomani di Caporetto,
ebbero un sacrosanto moto d'orgoglio e chiesero, subito ottenendolo, di
combattere a terra lungo la linea del Piave contro gli austriaci. Ma con
una differenza piuttosto significativa: quel leone di ottant'anni fa, la
sua zampa la poggiava spavaldamente sul Libro chiuso, nella copertina del
quale campeggiava la scritta: "Iterum rugit leo", ovvero il leone
(quello di guerra e dunque con la coda alzata) ruggisce ancora.
Funerale di un fante di marina della San Marco.
L'elogio di Kesselring
Di lì il motto sarcasticamente
espresso in puro dialetto veneziano, che ha accompagnato con il suo timbro
apparentemente dissacratore i nostri fanti di Marina in tutte le loro imprese
guerresche fino alla conclusione del secondo conflitto mondiale: "quando
el leon alsa la coa, tute le bestie le sbasa la soa". Questo, se si
vuole, dà la misura del tipo psicofisico di questi soldati che per
lunghi mesi si sono battuti con valore, meritando ampiamente il riconoscimento
sia dal loro comandante che dal Maresciallo Kesselring, come fa fede l'ordine
del giorno n°27 diramato l'8 marzo del 1945 XXIII dal Comando Divisione
Marina "S. Marco" a firma del generale Farina, fino ad oggi sconosciuto,
e che qui riproduciamo testualmente: "In relazione all'attività
svolta in modo tangibilmente concreto dai dipendenti reparti nella lotta
contro bande, il Comandante del Corpo Armata Lombardia ha inviato il seguente
telegramma: 'Il Maresciallo Kesselring ha espresso il suo elogio per l'attività
contro bande della Divisione 'San arco'. Si rallegra con la Divisione particolarmente
per la cattura del Capitano inglese il cui interrogatorio ha fruttato preziose
indicazioni per il Comando. Aggiungo il mio elogio a quello del Signor
Comandante Supremo". E come postilla, "papà Farina"
aveva aggiunto: "L'elogio del Maresciallo Kesselring vada a tutti
gli ufficiali, sottufficiali, graduati e marò che, immedesimati
del male che compiono i nostri fratelli traviati prodigano tutta la loro
attività e la loro energia per stroncare l'attività ribellistica
della zona. Ed è anche incitamento perseverare per conseguire sempre
maggiori risultati e vendicare così i nostri compagni caduti sotto
il piombo dei sicari al soldo del nemico". Avevano dimostrato, dunque,
e con i fatti, di quale tempra fossero fatti e quanto positivo fosse stato
l'addestramento ricevuto nel campo di Grafenwoehr, presso Norimberga, al
termine del quale, il 18 luglio del 1944, Benito Mussolini tornò
a visitare la terza Grande Unità per consegnare ad essa la Bandiera,
"simbolo della nostra fede, del nostro ardimento".
E suggellò quella cerimonia
con queste parole: "Io sono sicuro che, quando i nemici multicolori
della nostra Patria sentiranno il vostro grido 'San Marco', essi si accorgeranno
di avere dinanzi a sé intrepidi cuori, decisi a tutto pur di conquistare
la vittoria".
Da Arenzano a Capo Berta
E lo dimostrarono quando,
alla fine del mese di luglio, fecero ritorno in Italia per presidiare un
nuovo schieramento in funzione antisbarco in Liguria, con i reparti attestati
lungo un fronte di decine e decine di chilometri sia per estensione che
per profondità, da Arenzano a Capo Berta. Ma i nostri "marines"
furono costretti anche a rintuzzare gli attacchi partigiani, attuati con
la tattica del "mordi e fuggi", che provocarono centinaia di
vittime, favorendo anche il fenomeno delle diserzioni, le quali peraltro
furono prontamente tamponate dal nuovo comandante Amilcare Farina, che
aveva sostituito il generale Princivalle, con una serie di disposizioni
di chiaro stile militare, grazie alle quali vennero ricompattati reparti
senza che si facesse ricorso alle rappresaglie. Anzi, proprio per evidenziare,
applicando l'antico motto secondo il quale "oltre la tomba non vive
ira nemica", la continuità delle identità italiane in
un momento che lasciava presagire "la morte della Patria", "papà
Farina" volle far costruire un cimitero in quel di Altare, denominato
"Croci Bianche", in cui furono tumulati i Caduti delle due parti.
In quei giorni di impegno diretto sul campo, i fanti di Marina della "San
Marco" presero posizione sul fronte della Garfagnana in appoggio ai
reparti alpini della "Monterosa": erano i marò del battaglione
"Uccelli" e del maggiore Botto, che per lunghe e aspre settimane
contrastarono i reiterati tentativi dei "multicolori invasori”, peraltro
superiori per numero e per armamento. Nonostante tutto, insomma, il valore
dei nostri fanti di marina riuscì a sfondare il fronte tenuto dalla
quinta armata angloamericana costringendola a ritirarsi fino a Lucca e
dintorni. Poi arrivarono i giorni dell'ira, con il crollo delle difese
germaniche e il conseguente ripiegamento dei reparti della Grande Unità
verso il Nord per costituire l'ultima difesa, ma anche per salvare i complessi
portuali, le industrie e le infrastrutture che avrebbero poi consentito,
come in effetti fu, di avviare nel dopoguerra la ricostruzione dell'Italia.
L'ultimo ordine di Farina
E' datato 29 aprile
1945 l'ultimo ordine del giorno lanciato dal generale Amilcare Farina ai
suoi marò, per riunirli nella città di Alessandria, "dove
sarà proceduto alla smobilitazione personale immediata". E
l'avvertimento finale: "Compiendo le operazioni con ordine e disciplina,
la Divisione darà l'ultima conferma di essere stata una Unità
regolare delle migliori tra quelle dell'Esercito". Ma questo stava
a dimostrarlo anche il medagliere della Divisione, davvero esaltante e
degno della grande tradizione militare italiana, specie di quella dei Fanti
di Marina: 2 medaglie d'oro, 9 d'argento, 42 di bronzo, 98 croci di guerra
al V.M., 83 encomi solenni, 20 promozioni M.G.; inoltre, numerose ricompense
al V.M. germaniche consistenti in una croce di ferro di prima classe, 13
di seconda classe, 7 al merito di guerra con spade di 2a classe e un distintivo
d'onore. Il Leone di San Marco ha così dimostrato di aver ruggito
bene.
STORIA VERITA' N. 12, Maggio-Giugno 1998
(Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)
CHI È CON "SAN MARCO" MUORE
CON "SAN MARCO"! Gli ultimi giorni della Divisione e il piano
operativo "Nebbia Artificiale"
Pieramedeo Baldrati
Pubblichiamo il testo integrale del discorso commemorativo
che l’Autore pronunciò a Livorno il 4 ottobre 1987, in occasione
del Raduno dei veterani della Divisione della RSI.
Signori Ufficiali, Sottufficiali,
Graduati e Camerati Militari di Truppa della 3a
Divisione Fanteria Marina "San Marco"!
Davanti a Voi il mio pensiero
va, in questo momento, agli 800 Caduti Noti, ai 486 Caduti Ignoti, ai 564
Dispersi ed ai 754 feriti della Divisione. Con Essi auspico che Voi ricordiate
il Maresciallo creatore delle FF.AA. della R.S.I.
Grande è stata la mia
perplessità quando nelle andate settimane sono stato invitato dal
Sottotenente Brenna a parlarVi, essa derivava dal non aver fatto parte
della Vostra Grande Unità e quindi dal ragionato timore che venirVi
a narrare la Storia, sia pure sintetica, avrebbe generato in taluno di
Voi un senso di malessere morale se non di fastidio in quanto Voi avete
"fatta" la "San Marco" non io che ne ho solo ricostruito
nei dettagli l’esistenza.
A quella del Sottotenente Brenna
si sono aggiunte anche le insistenze affettuose del Vostro Presidente Capitano
Martinozzi ed eccomi quindi tra Voi per rivivere una parte della Storia
della Divisione.
Io so per certo che nella maggioranza
dei Veterani di "San Marco" (con esclusione del personale dei
due Btg. al Fronte Sud) vi è ancora a distanza di non pochi anni
un rammarico, un indistinto fastidio, e per dirla da "troupier"
un magone grande... gli ultimi giorni... il ripiegamento... la resa. Ed
appunto di ciò Vi voglio parlare per sciogliere finalmente quel
velo di tristi ricordi in modo ufficiale e definitivo!
È noto che la manovra
strategica del ripiegamento della Divisione prese il nome di Kunstlicher
Nebel (nebbia artificiale). Nome convenzionale definito dal Comando
del Gruppo Eserciti poi Comando del Sud-Ovest per tutte le grandi Unità
dipendenti. Meno nota la genesi, l’alternanza di intendimenti, l’esecutività
che ora esamineremo. In sostanza si trattava di una manovra di ampio respiro
che prevedeva l’arretramento di tutto lo schieramento del Gruppo Eserciti
e l’assunzione di una nuova linea difensiva che dallo sbocco del lago Maggiore
per il Ticino, il Po e le Foci Po fissasse il nemico. Tale manovra fu ipotizzata
al Comando Gruppo Eserciti sin dal novembre 1944, ma non ne furono "messe
in carta" le linee essenziali, di rimbalzo il Signor Generale Farina
ne venne a conoscenza lo stesso mese presso il Comando del Corpo d’Armata
"Lombardia", durante un rapporto.
Tale manovra presupponeva l’abbandono
al nemico dell’intero Piemonte, della Liguria, dell’Emilia, quindi del
50% del territorio della Repubblica... evidente quindi che il Generale
Comandante non vedesse con eccessivo favore il tutto, specie se i movimenti
fossero avvenuti sotto la pressione del nemico (che avrebbe attizzato una
insorgenza all’interno) con prevalenza di forze aeree ed oltre a ciò
per l’imponenza delle ipotizzate distruzioni.
Le offensive di Natale nelle
Ardenne ed in Garfagnana, l’arresto imposto all’Est alla Armata Rossa fecero
accantonare "nebbia artificiale" e nella mente del Generale Comandante
prese forma un progetto (sino ad oggi o ignorato o comunque poco pubblicizzato)
di "resistenza in posto in area difesa". Questo progetto che
reca la data del 1° febbraio 1945 e che fu diramato a mano ai soli
Comandanti di Unità come promemoria, SEGRETISSIMO, promanava da
questi fattori: preservazione della unità organica dei Reparti (fattore
di somma importanza per l’azione di comando e per la salvezza fisica degli
uomini); conservazione di una parte di territorio sino ad una definizione
politica onorevole e soddisfacente (testuale); ipotizzava una durata di
tempo di 15-20 giorni.
A differenza di altri Ridotti
(rivelatisi poi dei canards) questo progetto fu autonomamente realizzato
con ammassamento di scorte, di munizioni, viveri, carbolubrificanti e bestiame
in piedi, sfruttando le antiche opere di fortificazione e le gallerie ferroviarie
non armate della Liguria occidentale. Esso era ben differente dalle ipotesi
di "nebbia artificiale" e vi si poteva antevedere una soluzione
italiana all’atto della crisi finale.
Il Generale Farina ne fece parola
al Segretario Militare del Maresciallo, Generale Sorrentino, il quale però,
nel corso della visita alla Divisione che il Maresciallo stesso effettuò
nel marzo 1945, comunicò che non se ne doveva nemmeno parlare. Sfumava
così l’occasione di fare della Divisione l’ultimo baluardo in armi
della Repubblica, l’estrema difesa del Governo.
Di "nebbia artificiale"
si tornò a parlare il 31 marzo ad un rapporto presso il Comando
del Corpo di Armata "Lombardia" alla presenza del Comandante
Generale del Sud Ovest von Vietinghoff detto Scheel, che aveva sostituito
il Maresciallo di Campo Kesserling nel gravoso incarico. E nel rapporto,
sorvolando sulla presa di posizione alla linea Ticino-Po, si parlò
soprattutto di distruzioni. Gli intendimenti emersi presupponevano l’adozione
di "nebbia artificiale" solo all’ultimo momento e cioè
sotto pressione nemica... l’ipotesi peggiore. Il Generale Farina si espresse
chiaramente: il ripiegamento avrebbe portato a perdite ingenti senz’alcun
costrutto, le distruzioni avrebbero gravemente compromesso l’economia italiana,
l’ipotizzata orgia di distruzioni avrebbe avuto riflessi fortemente negativi
sulle Unità italiane con probabilità di ribellione spontanea
ed immediata (specie per Genova), in definitiva meglio la resistenza in
posto e, comunque, desiderio di ordini chiari e precisi. Non vi fu opposizione
da parte germanica, ma dalla riunione emerse che a Milano il Generale Wolff
stesse architettando altre soluzioni. Comunque, ancora una volta, di "nebbia
artificiale" più non se ne parlò.
Nei giorni immediatamente precedenti
vi era stato un colloquio tra il Generale Farina ed il Comandante Arillo,
durante il quale si era parlato viceversa ancora di Area Difesa e la sintesi
era stata subito trasmessa dal Comando "San Marco" al Maresciallo
Graziani.
Proprio su invito del Comandante
Arillo il Generale si recò a Genova il 2 aprile per una cerimonia
della Xa e vi incontrò il Comandante Borghese, che nel
suo discorso ai marinai parlò di "difendersi contro tutti"
ma poi in colloquio riservato con il Generale trattò quasi esclusivamente
della difesa della Venezia Giulia... ed anche di Area Difesa più
non si parlò.
Scorsa tranquilla la prima settimana
di aprile, se per tranquillità si deve intendere la staticità
dei Fronti in Italia, poi il giorno 9 si scatenò sul Fronte Sud
l’offensiva angloamericana. Per la verità (e lo si apprese nel dopoguerra)
il Comandante del Sud-Ovest informò il Cancelliere del Reich e Comandante
Supremo che una resistenza statica avrebbe avuto poche probabilità
di successo, ma le sue proposte di arretramento alla linea Ticino-Po vennero
al solito respinte.
Sotto colore di trattazione di
pratiche irrilevanti rispetto al profilo operativo, il Generale Farina
inviò presso il Maresciallo il Capo di Stato Maggiore (del quale
vedremo più tardi l’operato) ma nulla ne venne dal Comando Armata.
E nulla ne venne anche dal Comando di Corpo d’Armata e si giunse così
al punto che la situazione generale era cognita solo attraverso la radio
nemica. Il Generale Farina avverte il rapido deteriorarsi della situazione,
ed il 12 aprile ordina al proprio Stato Maggiore di riprendere alla mano
gli studi su "nebbia artificiale", poi appronta un apposito Ordine
del Giorno galvanizzante: "Chi è con San Marco muore con San
Marco!".
Il 14 aprile il Generale si reca
al Btg. "Uccelli". È dello stesso giorno un ordine Superiore
che modifica il trattamento da farsi ai partigiani catturati con le armi
in pugno. Al suo rientro in Sede, il Generale viene a conoscenza dell’Ordine
OP 27 del Comando Partigiano Piemontese comminante la pena di morte ai
militari della RSI. Non sfugge al Generale il rapido deteriorarsi della
situazione. Egli si reca a Savona il 18 aprile dove, amaramente, constata
che "en cas de malheur" ognuno vuol fare di testa sua (testuale).
Tornato ad Altare, rapidamente muta la dislocazione del I/5° nella
zona di Stella, poi ha un colloquio confidenziale con il capo del D.V.K.
circa "nebbia artificiale".
Il 20 aprile, mentre il Fronte
Ovest tiene il Fronte Sud inizia, sotto violenta pressione nemica, il ripiegamento,
il giorno dopo il Generale dirama l’Ordine del Giorno approntato.
Il 22 si viene a conoscenza di
un ordine di Alexander alle bande, dove le si incita ad usare anche i coltelli
(il fair play degli inglesi). Alle ore 20,30 giunge dal Corpo d’Armata
il preavviso di "nebbia artificiale", al che il Generale mette
in "Allarme 2" la Divisione e riesce, fortunosamente, a far comunicare
al II/6° l’ordine di raggiungere Genova al più presto.
Nella notte lo Stato Maggiore
della Divisione appronta l’Ordine scritto di "nebbia artificiale".
Eccovelo nella sua intierezza. Il Capo di Stato Maggiore non ha partecipato
alla sua redazione. (Lettura dell’Ordine operativo). Per ordine del Corpo
d’Armata, giunto alle ore 12,00 del 23 aprile, questo Ordine diviene esecutivo.
I movimenti iniziano il 25 aprile
su Acqui dove è giunto il III Gruppo Esplorante dopo contrasti con
le bande, mentre i Servizi, il Comando Divisione ed il Btg. Trasporti passano
indenni, il Btg. Raccolta subisce aspri contrasti dalle bande ed un bombardamento
di artiglieria da parte di una colonna germanica effettuato per errore,
al 5° Reggimento si ha la defezione del Comandante della C.C.R. (e
conseguente eliminazione di gran parte degli uomini), il I/5° effettua
senza danno i movimenti, il II/5° persa l’8a Compagnia (defezione
del Comandante) procede faticosamente; il 6° Reggimento assicurerà
la retroguardia, il suo III Btg. opera valorosamente sulla costa e raggiunge
in giornata Savona, dove la 3a Compagnia Ferroviaria ha rintuzzato
ogni velleità partigiana alla Stazione.
L’Artiglieria è in movimento
con scarso contrasto. Si può affermare che nella giornata i movimenti
hanno avuto luogo abbastanza soddisfacentemente, ma un caso gravissimo
si è verificato: il III Gruppo Collegamenti non si è mosso
(sembra dopo colloquio del suo Comandante con il Capo di Stato Maggiore),
vengono così a mancare alla Divisione in movimento gli indispensabili
supporti delle trasmissioni radio non tanto nel suo interno quanto per
ciò che attiene il Comando di Corpo d’Armata e le Grandi Unità
laterali. Ciò non può che condurre alla catastrofe ed è
la riproduzione esatta, pedissequa, di ciò che avvenne in Russia
al Corpo d’Armata Alpino.
Il Battaglione Pionieri, dove
si è verificata qualche defezione isolata di ufficiali, ha perduto
corpo e beni, un plotone (risulterà poi distrutto) ma giunge, sia
pure faticosamente, in Acqui nel pomeriggio.
Le perdite della giornata sono
ancora contenute e riguardano militari caduti per lo più per cecchinaggio
sulle colonne, eccezion fatta al Gruppo Tattico "Valli" per il
luttuoso equivoco già citato.
In Acqui il Generale preliminarmente
si reca dal Vescovo e gli fa noto che la Divisione se attaccata agirà
duramente contro la città e non consegnerà alle bande il
Generale Aichino ed i suoi del CISU. Parlamentari delle bande si presentano
al Generale chiedendo la resa di "San Marco" e vengono rinviati
con una proposta di tregua che consenta, senza spargimento di sangue, il
libero transito di tutta la Divisione.
A questo punto si inserisce l’atto
volontario del Capitano Martinozzi, che durante le trattative si offre
quale ostaggio e viene portato con altro ufficiale presso le bande. In
serata giungono i Reparti del 5° Reggimento e dell’Artiglieria e, sempre
in serata, viene concordata con le bande una tregua di 5 giorni per il
libero transito della Divisione. L’aviazione nemica, frattanto, attacca
le colonne.
26 aprile: un ufficiale della
3a Compagnia Amministrazione consegna alle bande i fondi della
Divisione, mentre il Comando permane in Acqui, il III Gruppo Esplorante
si è portato a Valenza Po, i Servizi marciano su Alessandria, il
III Trasporti è duramente attaccato dall’aviazione tra Acqui ed
Alessandria, la Colonna Sanitaria giunge a Valenza, i Pionieri oltrepassano
Alessandria, il Gruppo Tattico "Valli" (avanguardia) raggiunge
la Lombardia e sosta, così pure il Comando del 5°, mentre il
suo I Btg. raggiunge Acqui seguito dal II. Il 6° muove verso Acqui
il suo III Battaglione, ritorna verso Savona per liberare la 13a
Compagnia accerchiata e poi, proseguendo nel movimento, entra in serata
ad Acqui cantando tra lo stupore degli abitanti!
L’Artiglieria in parte ha proceduto
su Alessandria, in parte è ancora in Acqui. L’onore del III Gruppo
Collegamenti è tenuto alto da un plotone che si ostina a non arrendersi
alle bande in Ferrania. Ultima a lasciare Savona la 3a Compagnia
Ferroviaria che ha inflitto notevoli perdite alle bande. Nel pomeriggio
si presentano al Generale emissari delle bande "Mauri", facendo
ben intendere che arrendendosi a loro l’incolumità degli uomini
sarebbe assicurata, vengono respinti.
In serata il Generale apprende
da altri emissari "mauriani" la resa di Genova, quattro ufficiali
germanici fortunosamente sfuggiti confermano la notizia.
27 aprile: mentre il Comando
Servizi della Divisione superato il Po raggiunge Mortara con tutti i suoi
elementi ed i Trasporti, i Pionieri si portano a Valenza, il Gruppo "Valli"
oltrepassa il Po e si ferma alle porte di Mortara. Il Comando 5° oltrepassa
Mortara e si avvicina a Vigevano, il I e II/5° muovono verso Alessandria
così come il I/6° ed il III/6°, il Comando 6° sosta
in Acqui. Artiglieria: il Comando raggiunge Lomello sostandovi, il II/3°
si trasferisce da Acqui in Alessandria, il III/3° giunge a Lomello
con il IV. Le perdite della giornata sono elevate in tutti i Reparti.
Nella mattinata un Maggiore inglese
chiede di conferire con il Generale Comandante e gli propone la resa della
Divisione, minacciando un intervento massiccio dell’aviazione. Il Generale
gli oppone gli ordini che nel merito dovrebbe impartire il Maresciallo
e chiude il colloquio dandogli appuntamento sulla linea Ticino-Po.
"La decisione di respingere
la resa è mia, soltanto mia... come può la "San Marco"
iniziare il disgregamento di tutto il Corpo d’Armata? Abbandonare il 6°
Reggimento? Lasciare nelle mani delle bande tanti camerati? Il mio è
un atto di cameratismo, è un atto di fede!".
L’ufficiale nemico, allontanandosi,
mormora: "La "San Marco" ha firmato la sua condanna a
morte".
Nel pomeriggio il Comando Divisione
raggiunge Valenza dove il Generale Hildebrandt del D.V.K., rientrando da
Alessandria, giunge anch’esso più tardi in uno stato di agitazione
estrema: ha appreso la notizia della morte del figlio decapitato dai russi
ed ha visto in Alessandria il comportamento di quel Comando Piazza incline
alla resa. Il III Gruppo Esplorante poco più tardi renderà
gli onori alla memoria del Sottotenente Georg Hildebrandt durante una visita
che i due Generali fanno. In serata il Generale ordina che tutti gli elementi
di truppa liguri, emiliani e toscani siano lasciati in libertà.
Nessuna notizia il Generale possiede circa i movimenti delle Grandi Unità
della Frontiera Occidentale, della 34a Divisione e dei Cacciatori
degli Appennini.
28 aprile: il Comando Tattico
permane in Valenza, il Comando Servizi, oltrepassata Vigevano, giunge nelle
vicinanze di Abbiategrasso, il Btg. Trasporti arriva a Cassinette di Lugagnano,
tutti gli elementi dei Servizi sono con il Comando Servizi, il Btg. Pionieri
si disloca a Torre Beretti, il Gruppo Tattico "Valli" giunge
esso pure presso Abbiategrasso, il Comando 5° oltrepassa Vigevano con
la Colonna Leggera ed i Distruttori Carro, il I/5° procede verso Mede
con il II in retroguardia, il Comando 6° a Valmadonna, la Sezione pezzi
della CCR/6° giunge a Valenza, la Colonna Leggera sosta in Alessandria,
il I/6° oltrepassa il Po e marcia verso Vigevano, il III/6° si
porta a Valenza e sosta.
Dell’Artiglieria: il Comando
oltrepassa il Ticino con il III/3°, il II/3° sosta a Valmadonna,
il IV/3°, fatti saltare alcuni pezzi a Valenza riesce a raggiungere
il Comando Reggimento. Il 3° Gruppo Costiero si arresta a Valmadonna.
Il III Gruppo Esplorante nella
serata tenta di passare per le armi il Capo di Stato Maggiore della Divisione,
scoperto mentre telefona in Alessandria ai partigiani sulla presenza di
Reparti e del Generale in Valenza, solo l’ascendente del Comandante riesce
ad impedire l’atto.
Dopo la partenza del Generale
per Alessandria, il Gruppo perde un certo numero di uomini con un ufficiale
che si allontanano verso la Lombardia antivedendo rappresaglie delle bande,
specie dopo il ritorno da Alessandria del Generale con ufficiali delle
bande.
Nella mattinata il Capo di Stato
Maggiore della Divisione, che nella notte si era fermato in Alessandria,
arbitrariamente si presenta al Generale senza nulla riferirgli e dichiarando
che se ne torna in Alessandria.
Poi il Generale riceve da una
staffetta partigiana una busta da parte del Generale Ollearo (Segretario
Generale per l’Esercito Nazionale Repubblicano) nella quale vi è
un foglio contenente notizie strabilianti: il Maresciallo Graziani prigioniero...
il Governo catturato... Mussolini catturato sul lago di Como... Berlino
accerchiata ed infine la preghiera di non arrecare danni alle popolazioni
lungo il cammino dei reparti della Divisione!
Nel pomeriggio il Capo di Stato
Maggiore rientra in Valenza avvertendo il Generale che lo si attende in
Alessandria per trattare.
Il Generale si reca in Alessandria
dove l’Ammiraglio Girosi gli propone la resa di "San Marco".
Il Generale specifica le condizioni: per i reparti al di là del
Po nessun provvedimento possibile; per i Reparti al di qua del Po concentramento
in Alessandria Cittadella e trattamento da prigionieri di guerra; tregua
d’armi; garanzia personale sull’eseguire le condizioni suesposte.
Il Generale rientra poi in Valenza
e rende noto il tutto al Comando di Corpo d’Armata (in transito) che però
decide di passare il Po e di inoltrarsi in Lombardia.
Mentre nella prima parte della
notte i parlamentari avversari rientrano in Valenza, il III Gruppo Esplorante
passa per ultimo il Po. Secondo le condizioni concordate restano in Piemonte:
il Comando Tattico della Divisione e gran parte del 6° con un Gruppo
di Artiglieria. Il Generale Comandante detta l’ultimo Ordine del Giorno
della Divisione. Le truppe in Lombardia sono agli ordini del Colonnello
Sordi.
29 aprile: il Comando Tattico
si trasferisce a Valmadonna e nel pomeriggio passa in prigionia di guerra
in Alessandria così come il 6° con i suoi restanti reparti dell’Artiglieria,
si consegna in Alessandria il II/3° unitamente al 3° Gruppo da
Posizione Costiera.
30 aprile: gran parte della Divisione,
dislocatasi in terra lombarda, è ora agli ordini del Colonnello
Comandante del 5° Reggimento, che viene raggiunto da una aliquota del
Comando di Corpo d’Armata "Lombardia" con il Capo di Stato Maggiore
Colonnello Morgantini. Il III Gruppo Esplorante entra in Vigevano e vi
libera tutti i militari R.S.I. già prigionieri delle bande.
Nel pomeriggio, sentiti tutti
i Comandanti di Reparto, il Comandante ff. della Divisione Colonnello Sordi
considerato: l’evolversi degli avvenimenti; la totale occupazione di Milano
da parte di colonne corazzate nord-americane; la dichiarata volontà
germanica di non difendere la linea Ticino-Po ma di ripiegare verso il
Brennero; le condizioni proposte dal CLN di Magenta (libertà individuale
agli uomini di truppa); dirama gli ordini verbali per il concentramento
di tutto il personale della Divisione nel tardo pomeriggio e nella notte.
Nella giornata, sulle truppe
in movimento, aerei nemici a bassa quota hanno lanciato manifestini invitanti
alla resa, nel pomeriggio altro lancio di manifestini a firma Graziani.
Alle ore 24,00 del 30 aprile
la 3a Divisione Fanteria di Marina "San Marco" cessa
di esistere.
Signori Ufficiali, Sottufficiali,
Graduati e Camerati Militari di Truppa della 3a Divisione, ho
cercato nella contenuta, sintetica disamina dei fatti accertati di sciogliere
definitivamente le ombre anche cupe che sinora hanno avvolto gli ultimi
giorni della Divisione, ombre che il dolore, talvolta trasformandosi in
rancore hanno nel tempo rese ancora più cupe. Mi sono limitato a
quanto attente ricerche hanno fatto cognito. Aggiungo ancora rilevandolo
dal Diario inedito di Martini-Mauri, fortunosamente pervenutomi, che l’onore
del III Guppo Collegamenti, assente agli avvenimenti narrati, fu salvato
da quel plotone di genieri di Ferrania che si arrenderà solo il
30 aprile, dimostrando d’essere coriaceo almeno quanto i commilitoni che
in armi giunsero alle porte di Milano.
Non dimentichiamo che uguale
"schiena" dimostrarono conduttori e scorta dell’autocolonna Sanitaria
che, al comando del Maggiore Rippa, raggiunse l’Ospedale Militare di Milano-Baggio
con i feriti. Con questi commilitoni avrei caro ricordaste i due Battaglioni
al Fronte Sud ed il Deposito di Brescia ed il Comando Tappa di Milano,
tutti hanno dimostrato di che stoffa fosse la "San Marco".
Non rancore, rammarico ed oblio
restino da oggi nel vostro animo, ma vi seguano le parole che il Vostro
Generale scrisse in Alessandria, già prigioniero, la notte del 30
aprile: "Ora sono solo, solo con me stesso... di tutto, di tutti,
il solo responsabile sono io. Quanto a suo tempo avevo fatto presente al
Maresciallo si è avverato... la mia Divisione ha compiuto il suo
ultimo dovere, il suo estremo sacrificio seminando di Caduti il suo cammino,
dalle rive del Tirreno a quelle del Ticino-Po".
"Anche se ancora ignoro
le sorti del Deposito e dei due Battaglioni al Fronte (ma son certo che
tutti si saranno comportati bene) ora so che la mia "San Marco"
ha percorso il suo cammino arrivando, in massima parte, là dove
le era stato ordinato giungere".
"Lo stillicidio continuo
di sangue dall’agosto ad una settimana fa, il cruento sacrificio di questi
ultimi giorni, le vendette che presumibilmente da oggi avverranno, laveranno
nel Tempo le inevitabili debolezze dei singoli che si sono smarriti".
"Tutti, compatti o decimati,
in ogni dove hanno marciato, saldi sotto attacco, indifferenti alla minaccia,
sordi alla lusinga, volutamente ciechi all’evidenza, pagando pesante tributo
di sangue, attenti solo al Dovere, decisi oltre il Dovere, fedeli al Giuramento,
Soldati sino all’ultimo... per questo il mio futuro mi è indifferente...".
Siano queste parole del Vostro
Generale il Vostro Ideale Foglio di congedo. Sia onore a voi Uomini di
"San Marco"!
STORIA DEL XX SECOLO N. 40, Settembre
1998 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)